WARNING! Fantascienza? NO, oggi è realtà, ma in Italia sembra non si sia capito …
Non sarà questo forse il motivo principale per il quale l’Italia ha perso la sua competitività, nel mondo?
E’ meglio la CONFORT ZONE o abbracciare il RISCHIO?
1956, Minority Report, il racconto di fantascienza di Philip K. Dick viene dato alla luce e, così come altri libri dello scrittore statunitense, si trasforma in uno sfondo di riflessione sul presente e, nel 2002, del futuro, con l’adattamento sulla pellicola cinematografica firmata Steven Spielberg.
Un futuro immaginato? Forse Dick, prima, e Spielberg, poi, sono solo dei visionari?
Cercando su internet ‘Minority Report, recensioni’ si può leggere, sul sito di Sky, che promuove la serie TV: “ … da un orwelliano sistema di sicurezza chiamato ‘occhio di falco’, considerato come unica infallibile via per contrastare il crimine, fino alla FOX – che prende in giro se stessa immaginando una 75esima stagione de ‘i Simpson’ – agli avveniristici bracciali interattivi da indossare in discoteca per scoprire la compatibilità con il possibile partner”.
Ologrammi, realtà aumentata, vetrine touch… ???
Sì, forse potrà sembrare strano per la generazione over 30, ma i cosiddetti Millennial sanno perfettamente di cosa stiamo parlando. La FOX non dovrebbe prendersi in giro perché i “braccialetti di Cupido” non sono poi così lontani, forse già esistono.
Questo futuro non è fantascientifico, ci siamo già dentro. Si, proprio come nel film il nostro presente non è poi così diverso da quello dell’agente John Anderton (Tom Cruise) in Minority Report
Una Impresa è competitiva sul mercato se risponde ai bisogni dei propri clienti. Per i professionisti del marketing, se questi bisogni sono espliciti la strada per la definizione e l’attuazione di strategie di marketing è in discesa. Ma quando si tratta di intuire e capire i bisogni latenti, per programmare una futura risposta aziendale al bisogno, allora la strada da percorrere è sicuramente più faticosa e costellata di rischi. I ‘bisogni del mercato’ sono in continua evoluzione, questi, latenti, in pochi anni diventano finalmente espliciti. Intuire, scoprire, analizzare e capire ‘bisogni latenti’ (talvolta il consumatore neppure sa di averne), analizzando il cosiddetto ‘inconscio collettivo’, permette ad un’azienda di innovarsi sviluppando tempestivamente nuovi prodotti, quindi accrescendo i vantaggi competitivi.
Tutti saranno d’accordo ad assumere che è la somma complessiva delle tante aziende leader (per vantaggio competitivo e conseguenti risultati) che rende una nazione leader nel mondo per il suo complessivo vantaggio competitivo, a vantaggio dell’intera economia e, conseguentemente, del suo PIL (prodotto interno lordo).
L’Italia oggi è competitiva? Nella mia piccola esperienza nel settore della comunicazione di marketing, cercando di introdurre sul mercato nuovi concetti o idee correlati al marketing esperienziale, ho avuto modo negli ultimi venti anni (dunque mi riferisco ad esperienze esperite anche prima della crisi economica che ha colpito il mondo) di conoscere e di lavorare per aziende oltre che in Italia, anche in altre nazioni. Ma in nessun altro paese, come il nostro, ho avuto modo di incontrare tanti manager (o imprenditori) così restii nel cercare di capire verso quale direzione andasse l’Innovazione per cercare di perseguirla. Il motivo? “Molti sembrano addirittura guidati da un malcelato timore di sbagliare strategia, di sperimentare; non c’è voglia di rischiare, piuttosto è più conveniente restare nella propria ‘zona di conforto”, ci viene spiegato così bene dalla psicologa Anna Conforti (*).
Se in settore quale quello della Comunicazione dove i decision makers aziendali dovrebbero essere guidati nelle loro decisioni e nelle loro azioni, dal pensiero dei creativi che sviluppano, per definizione, un pensiero ‘outside-of-box’ io ( come tanti colleghi) ho trovato tante resistenze a nuove strade verso il cambiamento, immaginiamo quale sia lo ‘stato dell’arte’ complessivo.
Non sarà questo forse il motivo principale per il quale l’Italia ha perso la sua competitività, nel mondo?
"La Comfort Zone nella psicologia comportamentale è una condizione mentale di sicurezza, dove tutto è rassicurante, noto; dove ti muovi a tuo agio, senza grandi sorprese".
E' una condizione mentale, non un ambiente fisico, in cui la persona agisce in uno stato di assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire un senso di rischio. In altre parole, una condizione di familiarità, confidenza e sicurezza in cui la persona si trova completamente a proprio agio, senza percepire rischi o pericoli.
La "zona di conforto" può essere tante cose diverse. Dipende da come sei ma anche da che momento stai vivendo.
Per qualcuno è un punto di arrivo, il traguardo, l'equilibrio.
Per altri è una zona di passaggio, per altri una cuccia mentale e per altri ancora una trappola.
La Comfort Zone come punto d’arrivo.
E’ il punto di equilibrio, il traguardo, il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo dati, è il punto di arrivo di un percorso di formazione e di crescita. Un’ area di conforto da godersi.
La Comfort Zone come cuccia mentale.
Hai la sensazione che tutto vada bene, ma niente ti sorprende più. Ti confronti sempre con le stesse persone, dici e ridici le stesse cose. Ma in fondo senti l’esigenza di qualcos’altro.
Abbiamo bisogno di rimetterci in gioco. Il cambiamento, con tutte le sue sorprese, è l’unico modo che abbiamo per mettere la nostra mente nella condizione di creare e quindi di crescere. Ma dobbiamo essere noi a cercare l’occasione. A volte ci buttiamo verso il cambiamento solo se siamo ipersicuri, superpreparati stando nel frattempo il più a lungo possibile a “cuccia”.
La Comfort Zone come falso conforto.
E’ la più pericolosa perché più vicina ad una situazione patologica. Qui il conforto te lo racconti tu perché hai paura di cambiare. Continui a fare le stesse cose perché sei ingabbiato nelle cosidette certezze congelate che possono venire da familiari, amici, propri pregiudizi. Bisognerebbe riuscire a guardarsi da fuori per vedere i propri bisogni e i propri sogni più profondi e provare a tracciare una strada per arrivare lì.
La Comfort Zone come area di transito.
E’ un’area di passaggio dove recuperare le energie, riposare un attimo tra una sfida e l’altra.
Un’area dove ricaricare le batterie e una volta raggiunto un obiettivo, goderselo per un po’, assaporarlo, caricarsi di qualche sicurezza in più per poi ripartire.
(*) Anna Conforti, Psicologa.
Vittorio Dublino, consulente di Compagnia del Marketing, fondatore di Rebel Alliance Empowering
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