Heil SCHADENFREUDE! … ovvero “VIVA, la Fascinazione del MALE”
‘SCHADENFREUDE’: la parola che descrive in un solo termine “il piacere provocato dalla sfortuna altrui … “
Heil SCHADENFREUDE! … ovvero “VIVA, la Fascinazione del MALE”
Perchè la ‘cronaca nera’ nello show mediatico prevarica la ‘Cronaca Bianca’ ? Alcune culture hanno addirittura coniato parole specifiche per descrivere questa tendenza dell’Uomo al cosiddetto ‘compiacimento malevolo’
Nella lingua tedesca ad esempio ‘SCHADENFREUDE’ è infatti la parola che descrive in un solo termine “il piacere provocato dalla sfortuna altrui … “
Ma i più attenti, non solo gli addetti ai lavori (giornalisti, scrittori, antropologi, psicologi, …), sanno perfettamente che questo fenomeno non è una novità dei tempi moderni.
In passato già molti hanno descritto questa tendenza dell’Uomo.
la FAMA?? Un Male, anzi e più precisamente il più veloce tra i Mali
" ... Magnas it Fama per urbes, Fama, malum quo non aliut velocius ullum: mobilitate viget virisque adquirit eundo; parva metu primo, mox sese attollit in auras ingrediturque solo et caput inter nubila condit. Illam Terra parens, ira inritata deorum, extremam, ut perhibent, Coeo Enceladoque sororemprogenuit pedibus celerem et pernicibus alis, monstrum horrendum ingens, cui quot sunt corpore plumae, tot vigiles oculi subter (mirabile dictu), tot linguae, totidem ora sonant, tot subrigit auris. Nocte volat caeli medio terraeque per umbram stridens nec dulci declinat lumina somno; luce sedet custos aut summi culmine tecti, turribus aut altis et magnas territat urbes, tam ficti pravique tenax quam nuntia veri."
(Virgilio "Eneide", lib. IV v.v. 173-188)
Tuttavia oggi, molto più di ieri, questo fenomeno, studiato dalle scienze cognitive, dovrebbe essere percepito come uno degli argomenti fondamentali da quegli addetti ai lavori (in particolar modo da coloro che lavorano in settori strategici quali la comunicazione, nei media, nell’entertainment) che credono i valori dell’etica morale siano più importante dei valori che guidano il loro business.
I Comportamenti Anti-Sociali indotti dalla violenza sui media e la ‘fascinazione del male’
Esiste una grande quantità di ricerche effettuate per cercare di capire gli effetti dei media sul comportamento anti-sociale e le conclusioni, sebbene per alcuni ancora controverse, sembrano in effetti orientare la Scienza sul fatto che l’esposizione alla violenza nei media, può indurre a comportamenti ANTI-sociali. Da una parte abbiamo quelli che dicono che i media sono un comodo capro espiatorio per i mali della società, che la media degli spettatori è oramai sufficientemente matura per comprendere le differenze tra ciò che è finzione e ciò che è realtà.
D’altra parte abbiamo quelli che credono fermamente che stiamo costantemente corrompendo i nostri figli, lasciandoli liberi di essere continuamente esposti alla violenza in tutte le forme di Contenuti fruibili sia attraverso le nuove che vecchie tecnologie, ma soprattutto attraverso i film, la televisione e video giochi violenti e che sarebbe, finalmente, l’ora di censurarli pesantemente.
Molto meno attenzione, nello studio degli effetti dei media e quindi nel mondo della psicologia cognitiva, è stata dedicata ai possibili benefici che potrebbero essere indotti dalla visione/fruizione di Contenuti eticamente prodotti, cioè nel rispetto di una corretta visione pedagogica. La maggior parte delle ricerche, purtroppo, si sono focalizzate su pochi, e piuttosto datati, programmi per bambini che sono stati concepiti particolarmente per promuovere un comportamento pro-sociale.
Nell’insieme, gli studi hanno dimostrato che questi hanno avuto un discreto successo, ma sono piuttosto limitati nella loro capacità di “influenza di massa”. Infatti, sebbene capiti che dei Contenuti siano prodotti in maniera etica (principalmente finanziati con fondi privati) tuttavia ciò avviene in una scala molto piccola – rispetto ai volumi complessivi di Contenuti prodotti – seppur questi distribuiscano messaggi tematici forti: come ad esempio la “sfida alla discriminazione”. Purtroppo questi non fanno parte dei main-streaming principali, avendo difficoltà ad entrare nei circuiti mass-mediali; e ciò non ha consentito di poter effettuare significative ricerche per dimostrarne la loro efficacia.
Ma, con la crisi del sistema di valori che incombe nel Mondo globalizzato, non sarebbe forse venuto il momento per chi opera nel comparto “Media & Entertainment” – e per le Istituzioni preposte al suo controllo – di dover iniziare ad assumere un comportamento etico? Soprattutto nell’interesse collettivo e delle future generazioni.
Ma, sarà forse vero che molti di quelli che lavorano nei/con i media, vedono il proprio ruolo di produttori efficaci (per lo sviluppo del loro business) di Contenuti per l’Entertainment, solo dove l’uso e la fascinazione della violenza è ritenuto un “valore aggiunto”? Allora questo, in effetti, non è un problema loro!
Dovrebbe però essere sicuramente un problema per quelle Istituzioni italiane, che co-finanziano con denari pubblici, prodotti di intrattenimento come ad esempio “Gomorra”.
A riguardo, quale spunto di riflessione, mi piace riprendere il saggio dell’Avv. De Scisciolo: la “Fascinazione del Male”, pubblicato su “la Camorra Vista & Rivista”.
“LA FASCINAZIONE DEL MALE”
[di, Avv. Marco de Scisciolo Avvocato penalista, Criminologo, Specialista in diritto e procedura penale; Esperto di diritto ambientale]
Persone normali, impiegati, padri di famiglia, ragazzi per bene. Perché uccidono? Qual è il lato oscuro che fa di loro dalla notte dei tempi l’oggetto della morbosa curiosità della gente e quale il sottile filo rosso che li collega ai media cui forniscono linfa vitale, quella sottile linea grigia che finisce con il legare indissolubilmente assassino ed il mondo dei media?
Senza volere fornire gratuite anticipazioni può però dirsi fin d'ora come, dall'esame dell'esperienza legata alla storia delle vicende degli assassini "famosi" della storia, uno dei quali è forse il più famoso serial killer di tutti i tempi, Jack lo Squartatore, allora come oggi è nel rapporto con i media che si individua quel legame che spesso conduce alla "macabra simbiosi" oggetto specifico della presente analisi.Simbiosi. E' quanto si afferma in biologia laddove si verifichi una "interazione naturale" che assume la forma di vita associata da cui traggono reciproco vantaggio due o più individui animali di specie diverse o un individuo animale e uno vegetale. E questo è quello che accade ogni qualvolta un omicida irrompe prepotentemente, turbando la serenità di pochi e solleticando la fantasia, sovente morbosa, dei più. A questi assassini sono affibbiati soprannomi da parte dei media che riflettono alcuni elementi del loro metodo di uccisione o di stile. Alcuni di questi nick name (terminologia oggi così in voga), come Jack lo Squartatore, sono studiati al punto da evocare l’immagine mentale del killer in azione. Altri soprannomi sono invece associati alla realtà locale in cui esercitano la loro attività, come ad es. il mostro di Firenze.
In realtà la ricerca metodica di tutte queste "denominazioni" serve più a "glorificare" e "promuovere" il killer nei media e ad aumentare il sentimento di paura che egli stesso vuole creare nella comunità.Una nutrita serie di show televisivi, in tutto il mondo, è stata sviluppata intorno all'idea della ricostruzione della vita e dei delitti dei più efferati assassini così come sono spuntati un po' ovunque grandi profiler dal dono quasi soprannaturale di penetrare la mente dei killer seriali stessi. A prescindere da quale sia, nella realtà, lo spessore dell'omicida, se esso sia un uomo di innata intelligenza quanto piuttosto un rude campagnolo, i media hanno innegabilmente una propensione verso l'enfatizzazione delle sue gesta. L'idea è quella di creare forte shock, sorpresa, intrigo così da indurre il lettore o lo spettatore a non abbandonarne mai più le gesta.
Ma perché tutta questa attenzione?Chi sono i veri protagonisti delle macabre storie di omicidi? Il killer e il profiler sono celebrità nella società di oggi così come lo sono sempre stati anche nel passato, e se l'attualità, in un dato momento storico, per chissà quale contingenza, non ne presenta a dovere, ecco allora che si è pronti a rinverdire le storie degli assassini del passato, riportati in “vita” dai media. Ovviamente l'apporto di nuove conoscenze medico legali, il progredire delle tecnologie, fanno sì che i media possano imporre un maggior numero di dettagli sempre più scabrosi, con ricostruzioni fedelissime con figuranti o a mezzo di sofisticati computer in grado di catapultare lo spettatore sulla scena del crimine a fianco dell'omicida e/ o della vittima. Come è possibile tutto questo?
Cosa giustifica un così ingente impiego di risorse anche tecnologiche?
Semplicemente perché il pubblico subisce il fascino di ciò che non è “normale”. Gli esseri umani sono curiosi per natura e la curiosità accresce in presenza del male, in ogni sua manifestazione. I media lo sanno ed a loro volta si nutrono di questa curiosità. Per questo il consumatore o individuo dovrebbe assumersi la responsabilità di non promuovere ed incoraggiare i media nel perseguire tali storie terribili.
L'attualità viceversa insegna, ed i recenti omicidi nel nostro Paese ne sono un triste esempio, che la curiosità morbosa attorno ad un delitto non trova più confini tanto che, ad esempio, la stragrande maggioranza delle trasmissioni televisive di intrattenimento hanno deciso, in nome della audience, di dare in pasto allo spettatore la ingente dose di "sangue" giornaliera che egli brama, con la conseguenza che ad ogni ora del giorno fervono dibattiti su quell'omicidio piuttosto che sull'uxoricidio di stretta attualità, finanche in ore un tempo dedicate alla programmazione per bambini, oggi spettatori "attenti" di tali drammi, destinati ad essere in futuro assetati fruitori del genere real-horror.
L'unica tragica conclusione possibile è che il rapporto tra assassino ed i media è una strada a corsie parallele, una "società di mutua ammirazione", una macabra simbiosi. Questa simbiosi ha sempre caratterizzato il legame tra assassini e media anche se si sono certamente evoluti i modi di rappresentarne, specie da parte della carta stampata, le gesta. Chi non ricorda il terribile omicidio di Sara Scazzi, quello di Samuele Lorenzi o Melania Rea.
L'assassinio recentissimo ed efferato di Isabella Noventa?Cosa accomuna tutte queste terribili storie?Semplicemente la sovraesposizione mediatica di quelle persone individuate poi dagli inquirenti come i responsabili dei delitti (alcuni casi sono chiusi con sentenza passata in giudicato altri ancora in corso per i quali vige la presunzione di innocenza).
Ore di girato televisivo hanno portato nelle case Annamaria Franzoni, madre del piccolo Samuele, accompagnando l'audience fino alla sentenza definitiva di condanna. Un vero "corteggiamento” ha caratterizzato i rapporti tra Sabrina Misseri e le tv. Nel recentissimo caso dell'omicidio di Isabella Noventa l'assassino, allo stato parzialmente reo confesso Freddy Sorgato, ha lanciato accorati appelli dalla trasmissione TV Chi l'ha visto alla sventurata Isabella chiedendole di tornare a casa, ben sapendola deceduta, mentre la sua complice Manuela Cacco sempre in TV accreditava la tesi dell'allontanamento volontario ben sapendo di avere giorni prima recitato a soggetto a favore delle telecamere di sicurezza cittadine indossando il giubbotto della Noventa per ingannare gli Inquirenti. Sconcerta in questi casi, come in tanti altri ben noti al pubblico italiano, l'uso dello strumento di comunicazione di massa da parte dell'assassino o presunto tale, il quale scientemente decide di esporsi pubblicamente non tanto e non solo con l'intento di fornire una versione che possa ingannare gli inquirenti quanto piuttosto per il desiderio di notorietà. Esaminando quel sottile filo grigio che lega assassini e media, non possiamo fare a meno di operare un richiamo, seppure sintetico, al concetto di fascinazione (dal latino fascinatio-onis, "ammaliare").
Con detto termine i dottori di teologia ed i cacciatori di streghe indicavano uno fra gli attributi della magia artificiale ossia la capacità di generare, per ipnosi, illusioni ed inganni nella mente o nella coscienza altrui. In senso mediato la fascinazione sarebbe un'entità non diabolica ma umana con accezione negativa molto prossima all'ipnosi consistente in un procedimento capace di provocare in un altro stati ipnotici.
Una forma più riduttiva di fascinazione, connessa originariamente al mondo dell'intrattenimento è poi quella dell'illusionismo.Due cose sono comunque sostanzialmente indiscutibili, oltre, ben si intende, l'inesistenza di certe arcane follie: ogni "stregheria" trae forza dall'ignoranza ed al contrario subisce violente demotivazioni dall'approfondimento critico e culturale.La parola «affascinare» evoca molti pensieri. La tecnica ipnotica di affascinazione si chiama «fascinazione». Imparare la fascinazione significa imparare le chiavi nascoste dello sguardo.
Chi non vorrebbe affascinare e fascinare?Tecnicamente si definisce affascinazione un particolare stato mentale, simile a quello che si verifica quando veniamo coinvolti da un film o comunque qualcosa che attiri la nostra attenzione. L'analisi dei fenomeni di affascinazione involve l'utilizzo di più aree cerebrali:- La parte del cervello che interpreta quello che vede, che colleghiamo alla corteccia cerebrale- La parte del cervello che vive le emozioni, che colleghiamo al sistema limbico- E la parte più profonda di noi stessi, il nostro cervello rettiliano, che fornisce la base del processo di fascinazione, bloccando la nostra attenzione.
Il processo è trifasico: 1) riconoscimento ed osservazione di un elemento; 2) carica emozionale;3) affascinazione e cattura dell'attenzione.Molta parte della ricerca ipnotica ha esaminato i primi due livelli, ma è questo terzo, il più profondo, che è la chiave profonda del fenomeno.
Il potere della fascinazione appartiene ad un livello profondo, precedente al ragionamento ed all'emozione. Un altro punto interessante è il rendersi conto di come questo fenomeno possa essere talmente potente da bloccare addirittura ogni processo mentale tranne l'attenzione estrema.In campo criminologico, il concetto di fascinazione amplia il suo spettro. Come ha fatto notare Joel Norris in "Serial killers", gli Stati Uniti hanno soltanto il 5% della popolazione mondiale, ma producono il 75% dei maniaci omicidi. Sono anzi l'unico paese in cui i maniaci omicidi incidono pesantemente sul totale degli omicidi.
Il "serial killer", che in genere colpisce ripetutamente su una stessa classe di vittime seguendo un suo macabro rituale, esercita un fascino morboso sul pubblico, al punto che molti dei casi più raccapriccianti ispirano film e biografie. Nel 1990 uno dei best-seller nazionali è "Hunting humans: the encyclopedia of serial killers" di Michael Newton. Il più famoso di tutti, Charles Manson, colpevole della strage di Bel Air nel 1969 che uccise la moglie del regista Polansky, fece in realtà soltanto sette morti.Durante gli anni '70 Ted Bundy uccise trenta donne dallo Utah alla Florida.
Nel 1997 è stato arrestato Orville Lynn Majors Jr, un infermiere accusato di aver causato la morte un centinaio di pazienti in un ospedale dell'Indiana. Ogni serial killer diventa oggetto di una pubblicità morbosa: viene studiato e analizzato in maniera così paranoica da farne quasi un mito. Film e libri finiscono per esorcizzare l'atrocità del crimine commesso e trasformare in spettacolo le pulsioni di questi "mostri".Nel 1993 una casa editrice californiana (la Eclipse Enterprise) si mette persino a vendere "figurine" di serial killer, esattamente come ci sono figurine di giocatori di baseball e di football.
E, siccome questi mostri non agiscono per ragioni economiche o ideologiche, bensì per qualcosa di molto più profondo e congenito, finiscono per essere redenti e mitologizzati dalla loro stessa follia. E proprio come simboli (ambigui e criptici) della sottocultura popolare finiscono per passare alla storia: Charles Manson non è un semplice maniaco omicida, è un'icona tanto quanto Marilyn Monroe o Elvis Presley; un'icona sempre più slegata dalla persona fisica, e sempre più astratta, universale, totale. Nel nostro paese, proliferano i gruppi di sostenitori sui social network, fan club online, centinaia di persone che inviano messaggi di solidarietà e comprensione ai serial killer di casa nostra. È sempre accaduto anche in passato che i criminali, o presunti tali, abbiano ricevuto in carcere lettere di ammiratori sconosciuti. Oggi sono diventati star del noto social network Facebook.Come dimenticare l'esempio di Amanda Knox, accusata dell'omicidio della studentessa Meredith Kercher, avvenuto, nella notte del 1 Novembre 2007 a Perugia, vera e propria star del web, oggi assolta in appello con formula piena ed immediatamente rientrata nel suo Paese.
Secondo Giancarlo De Cataldo, giudice e scrittore, «La fascinazione del male è un fenomeno complesso, con risvolti che toccano le corde più profonde della natura umana» indubbiamente attraenti. Si è attratti dal "maligno" per una svariata serie di motivazioni.C'è chi desidera salvarlo, chi è frustrato e si identifica con le figure negative, chi semplicemente farebbe o direbbe qualunque cosa pur di apparire. Il fenomeno, come si è cercato di dimostrare fin qui, è sempre esistito perché connaturato alla natura dell'uomo. Oggi, con le nuove straordinarie tecnologie a nostra disposizione, avviene un'amplificazione delle manifestazioni umane e l'attrazione verso il male è certamente una di queste.
Ovviamente il facile ed illimitato accesso alla rete rende tutto questo spaventosamente semplice. L'esempio degli Stati Uniti ci insegna quanto sia stretto il legame tra mezzi di comunicazione e realtà, tra il crimine e la sua spettacolarizzazione. Tra i due livelli esiste uno scambio, che ormai porta il mafioso vero a ispirarsi al mafioso cinematografico e non più viceversa.
Basti ricordare quanti episodi di emulazione sono stati segnalati dopo la messa in onda della serie TV Gomorra. Quel che appare innegabile, è la esistenza di quella macabra simbiosi tra assassini e media che ne hanno accompagnato la cruenta esistenza.
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